Mi chiamo Luca, pensavo di conoscere Dio fin da piccolo, perché dall’età di due anni sono stato affidato al collegio gestito da suore, a causa di una famiglia che, oggi, definiremmo allargata.

Mia madre era una donna ribelle: da giovane si sposò con un uomo molto più grande di lei, da cui nacque una bambina, ma poco dopo si lasciarono; successivamente conobbe quello che è stato mio padre, che era tuttavia un uomo sposato. Anche questo rapporto è durato poco, lasciando me e mia sorella in una situazione di sofferenza e per questo siamo stati messi in collegio fino ai miei otto anni.

In collegio sentivo parlare di Dio e di Gesù: ci portavano tutti i giorni alla messa, celebrata in latino, che ormai conoscevo a memoria e ho anche fatto la Comunione. Mi era stato insegnato a comportarmi bene e quando sbagliavo la soluzione era la confessione. Pensavo a Dio però come ad uno che mi controllava, sempre pronto ad accusarmi. Certo, le suore influenzavano molto questa mia idea, supportandola con punizioni e ripetendomi che Dio non mi perdeva mai d’occhio: la vivevo come una minaccia.

All’età di otto anni, il collegio chiuse e fui affidato a mio padre. Frequentavo la parrocchia, andavo a messa e qualche volta ho fatto anche il chierichetto.

Avevo circa quattordici anni quando mio padre si ammalò gravemente e morì poco dopo lasciandomi nuovamente solo. Non riuscivo a capire perché dovessi vivere tutte queste situazioni, lo ricordo moto bene, mi sentivo ferito. Ero cosciente del fatto che sarei dovuto tornare o in collegio o con mia madre, che però fino a quel momento non aveva mostrato nessun interesse per me.

Ero così arrabbiato con Dio da maledirlo, non volevo più sentire parlare di lui e non frequentai più la chiesa.

Ma sentivo nel profondo la presenza di Dio.

Conobbi una ragazza di nome Paola, che oggi è mia moglie, e da quel momento tutto cambiò; conobbi i suoi genitori, ero tutti giorni a casa loro e iniziai a frequentare la chiesa cristiana evangelica, che allora si trovava in via Benincasa, ma lo facevo solo per far piacere a questa ragazza. Ascoltando le loro prediche iniziai a farmi delle domande e trovai fratelli che mi aiutarono a comprendere che non potevo solo con i miei sforzi essere una persona “buona”, come avevo imparato in collegio.

Iniziai a guardare Gesù con occhi diversi, imparando dalla Scrittura, in particolare dai Vangeli, che non sarei potuto andare in Paradiso con le mie buone opere, ma che l’unica via era Cristo.

Nel tempo mi resi conto che tutto quello che mi era accaduto, in particolare la morte di mio padre, era servito perché io potessi conoscere Cristo.

Dio si è preso cura di me donandomi Nello e Bruna, i miei suoceri, che si sono occupati di me con amore come se fossi loro figlio ed è anche per merito loro e di mia moglie Paola che io sono diventato Figlio di Dio. Vorrei che la mia testimonianza fosse di incoraggiamento per i giovani che, vedendo accadere cose nella loro vita, non comprendono subito il piano di Dio per loro, ma Dio ha il controllo di ogni cosa.

Nonostante le nostre imperfezioni Dio ha mandato Cristo a morire per noi. Dobbiamo imparare a guardare ai difetti degli altri non con critica, ma con gli stessi occhi pieni di amore con cui Cristo ha guardato noi.

Vi lascio alcuni versetti che mi hanno aiutato a comprendere la mia posizione:

Rom. 3:23-24 

“Difatti, tutti hanno peccato e son privi della gloria di Dio, e son giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù.”

 Giov. 10:28-29 

“(…) e io do loro la vita eterna, e non periranno mai, e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti; e nessuno può rapirle di mano al Padre.”